Ars
moriendi
Questa
è davvero la Vita
stessa!» si voltò improvvisamente a osservare la sua amata: Era
morta! (Poe, Il ritratto ovale)
In
questo libro su Edgar Poe Vi parlerò di letture e scritture, del
lato oscuro della cultura, di come si possa perdere conoscenza
anziché acquisirla.
Inoltre, vi suggerisco che una filosofia indiscriminata
ancora può esistere; quando una mente-scrittore è al lavoro, apre
il varco giusto tra sé ed il mondo. Quella scrittura fende la
pagina e rivela la magia.
Poe
è non di meno scrittore di quanto non sia “mago”, perfettamente
a suo agio tra Oriente ed Occidente. Del resto Maghdim –
parola dalla quale deriva il sostantivo in appello – vorrebbe pur
significare “suprema saggezza” o “sacra filosofia”. Ed esiste
in Poe questa dimensione! Le vette del pensiero, la sonante
scorrevolezza delle sue impressioni, non rivestono il tono di una
lirica moderna e antica assieme? Basti il seguente estratto a darne
prova. Rassomiglia ad un Platone, ma più asciutto e più conciso.
Oinos:
Allora ogni movimento, di qualsiasi natura è un atto creativo?
Aghatos:
Deve esserlo; ma una vera filosofia ha da tempo insegnato che fonte
di ogni moto è il pensiero – e che fonte di ogni pensiero è –
Oinos:
Dio.
Aghatos:
Ti ho parlato, Oinos, come a un fanciullo della vaga terra
recentemente perita – degli impulsi sulla sua atmosfera.
Oinos:
È così (Poe, Il potere delle parole)
Sicché
vaga, contemporanea e terribile una civiltà transita, la vediamo
estinguersi...
Non
sarà del resto l'Ottocento, il secolo del nostro autore, a svaporare
come “il ricco metallo della nostra volontà”. Niente affatto!
Saremo tanto più vigili quanto più al passo coi tempi. Tempi di
rapina, per i quali la scrittura dovrà elaborare la sua riflessione
con il rischio corrente per la morte istantanea dei suoi
contenuti espressi. Allo stesso modo, sempre veloce e concisa, ho
pensato dovesse essere l'argomentazione (semmai le note a piè
pagina possono servire per quei lettori decisi a sondare con maggiore
attenzione il background
dal quale nascono le riflessioni sulle problematiche affrontate).
DESTRUTTURARE SE STESSI
Le
forme di comunicazione oggi prediligono infatti “lavagne
scorrevoli” su apparecchi elettronici, post e twittate. Inoltre,
nel panorama odierno il tomo pare ingombri più le teste che non gli
scaffali – non se ne vuol sapere dei libri troppo, dico troppo
ragionati. Sicché non
illudiamoci sul fatto che la gente1
possa comprendere o fare, attraverso la lettura di un testo
letterario (come ad es. i racconti del nostro autore), la così
tanto conclamata contro-informazione, e in siffatto modo ricavare a
posteriori dalle proprie fonti di sapere una visione che sia per
l'appunto audace
acquisizione di coscienza2.
Per «conoscere» bisogna nei fatti mettersi a «cercare», e dunque
«perdere (o perdersi)» ciò che costituisce la
matrice di pensiero
indotta dai vari condizionamenti, siano essi politici, religiosi, o
familiari.
Da
che in qualche maniera siamo (tras)formati dalle «funzioni di
governo»3,
allora contro-informare, oppure «destrutturare» noi stessi,
vorrebbe pur dire saper
spiare le ragioni del
presente dai due poli,
ai due estremi, cioè laddove si dà la possibilità
di una fioritura della consapevolezza (Gioia), e dove invece
quest'ultima viene inesorabilmente contraffatta. Come fare?
In
realtà tutti lo dicono, ma
nessuno ammette lealmente a se stesso l'insensatezza di essere oggi
senza coscienza4. E
non mi riferisco certo all'ideale di una coscienza in
riferimento a qualcosa di alieno, sovraindividuale, modello di chissà
quale virtù; penso con Osho che «La
vita possa cominciare quando ciascuno di noi incontra se stesso e
impara a guardarsi direttamente, con immediatezza».
In altri termini, si diventa coscienti, quando si manifesta la concreta necessità di sapere quale sia la parte migliore di ciascuno in riferimento al proprio autentico mistero. Sapere dunque dove e perché stiamo andando; perché ci sentiamo prede inermi di un inesorabile destino. Perché frustrati, e perché angosciati – questo è importante ai fini della realizzazione del Sé5. Temi alla Poe... come vedremo. Temi che la "stampa quotidiana" non ha mai voluto istituire quale oggetto del suo plumbeo argomentare. Bisognerebbe chiedersi in definitiva, e con sempre maggiore insistenza, perché la riflessione sul Sentimento, l'Anima dell'uomo, non venga tenuta in considerazione dallo scrittore di professione, iscritto all'albo, che annuncia catastrofi, svela retroscena (fosse pur vero...). Perché?
In altri termini, si diventa coscienti, quando si manifesta la concreta necessità di sapere quale sia la parte migliore di ciascuno in riferimento al proprio autentico mistero. Sapere dunque dove e perché stiamo andando; perché ci sentiamo prede inermi di un inesorabile destino. Perché frustrati, e perché angosciati – questo è importante ai fini della realizzazione del Sé5. Temi alla Poe... come vedremo. Temi che la "stampa quotidiana" non ha mai voluto istituire quale oggetto del suo plumbeo argomentare. Bisognerebbe chiedersi in definitiva, e con sempre maggiore insistenza, perché la riflessione sul Sentimento, l'Anima dell'uomo, non venga tenuta in considerazione dallo scrittore di professione, iscritto all'albo, che annuncia catastrofi, svela retroscena (fosse pur vero...). Perché?
LA FANTASIA DEL FARE ANIMA
Per
dirla in due parole, i Racconti
del Terrore (e solo
quelli) che prenderò in esame, danno conto soprattutto di
quell'altra parte,
la sempre negletta e mai compresa.
Sicché,
possiamo intuire fin da subito che Poe ci offre qualche cosa che si
colloca al di fuori dell'ordinario, qualche cosa di magico e sublime.
In quest'ottica oblunga, in queste distensioni prospettiche su di un
Reale (o molti?) magnificato, non può
essere il presunto effetto dei giochi para-psicologici a suscitare
interesse nel lettore/scopritore contemporaneo.
La
scrittura di Edgar Poe abbraccia invero una gamma di fenomeni assai
più
ampi; in modo pertinente ai luoghi in cui si colloca la sua visione, egli genera una prosopopea singolare in cui gli elementi, ectoplasmi
anche quando si tratta di uomini, hanno
definito il loro limite in un discorso sull'animo umano.
Il linguaggio è
dunque fantastico, ma l'esperienza, a mio avviso, sempre Reale.
Egli è mago per questo! Dai suoi racconti si struttura, al pari del mito, la fantasia ontogenetica del «Fare Anima», senza però aver dimenticato, o trascurato, il teatro esteriore delle vicende, la schizofrenia urbana.
Egli è mago per questo! Dai suoi racconti si struttura, al pari del mito, la fantasia ontogenetica del «Fare Anima», senza però aver dimenticato, o trascurato, il teatro esteriore delle vicende, la schizofrenia urbana.
Ne
uscirà – me lo auguro! –
un ritratto che fa essere il nostro amatissimo
essenziale al pari della leggenda6,
dove «animare l'umano» significava l'inesorabile inizio dell'altra
filosofia: accanto alla Meraviglia, l'Orrore. L'incominciare ad
assistere al proprio destino. Di poi, certa, una storica rivelazione.
«Sveglia
dunque!»,
sembra raccomandarci ciascuna poetica dell'horror. Noi vediamo le
proiezioni di un mondo sognato; in quest'epifania ci stiamo
inconsapevolmente guardando. «Sveglia!
Suvvia...». Non avete notato che
il piccolo mondo si dipana tra uomini, maschere, macchiette e
persone? Tra alienati e alieni? Gente in completo delirio?
Esattamente
come in William Wilson, dove il protagonista vede face to
face il suo Male, che sta alla radice delle cose, e non ciò
che semplicemente lo rappresenterebbe – Poe non scrive allegorie
sul maligno, sta nel corpo e nelle menti effettive, dilaniate. Egli,
in definitiva, lascia che si guardi a quella cosa che ciascun
uomo mai avrebbe voluto in cuor suo vedere.
Erano
quelli, erano proprio quelli i lineamenti di William Wilson? Vedevo
sì ch'erano i suoi, eppure
tremavo, come in un accesso di febbre, immaginandomi che non erano i
suoi. Cosa c'era in essi da confondermi fino a tal punto? E lo
contemplavo, e mi sentivo roteare il cervello sotto l'azione di mille
pensieri incoerenti. Non era così,
no, di certo, non era così
ch'egli mi appariva nelle ore normali in cui era sveglio. Lo stesso
nome! Entrati a scuola lo stesso giorno! E gli stessi lineamenti! E
poi il dispettoso e inesplicabile rifacimento della mia andatura,
della mia voce, delle mie abitudini, delle mie maniere! Rientrava nei
limiti delle possibilità umane che quanto
ora vedevo fosse semplicemente il risultato di quel
continuo esercizio d'imitazione sarcastica? Affranto dal terrore,
tremante, spensi la mia lampada, e uscii in silenzio dalla camera per
lasciare una volta per sempre il recinto della vecchia scuola.
(Poe, William Wilson)
L'INIZIO: IL TEMA DELLA MORTE
Ars
moriendi... che vuol dire? Era l'inizio. Sarà
la fine.
Anima
bella.
Nasce
così la nostra anima
Stella, dai turbini, dai ricci di un mondo qualunque oscilla.
«Anima
Stella non ti fermare!».
«Anima
Bella non ti incolpare!».
Questa
lingua promette certezze.
Vede
solerte smentite.
E
il suo discorso somiglia a un linguaggio dei fiori più
belli.
Dalle
mie mani appunto una breve ma incisiva fantasmagoria generale
della conoscenza. Il presente dei rapporti tra “apertura”
e “chiusura” dei saperi. Un presente fatto di tagli e
strappi, luoghi misteriosi all'interno di strutture strane, difformi,
variabili e poliedriche.
«Un
presente!» Che dico? Piango o rido?
La
stralunata visione di Edgar Poe, almeno in questa occasione, si
dimostra il nostro lascia passare per l'avvenire, che di fatto....
de facto sembra scomparire.
Orrore
e fatalità hanno attraversato il mondo in ogni tempo. Allora perché
dare una data alla storia che devo raccontare? (Poe, Metzengerstein)
NOTE
1 Per
gente intendiamo riferirci a quegli "uomini"
la cui dimensione interiore è
completamente asciugata in favore di relazioni tanto esteriori
quanto contingenti, e quindi
pedissequamente legati all'opinione altrui. Questa dipendenza genera
la certezza di sentirsi «parte» di qualcosa, qualcosa che fa
essere l'uomo non più
individuo, bensì
l'alienato uomo della
folla. Scrive Poe:
«Consideravo i passanti in
quanto masse, correndo col pensiero solo ai loro rapporti
collettivi. Ma a poco a poco venni ai particolari e con minuzioso
interesse mi applicai ad esaminare la varietà dei tipi nei
loro abiti, e negli aspetti, nell'andatura, nelle facce,
nell'espressione delle fisionomie. Per la maggior parte erano
persone dall'aria convinta propria agli uomini d'affari, e parevano
preoccupati soltanto di aprirsi un varco nella ressa».
(Poe, L'uomo della
folla)
2 «Ma
noi sappiamo, attraverso un'osservazione anche elementare della
vita, che la materia della conoscenza possiede qualità
interamente diverse a seconda che essa sia assorbita in piccole o in
grandi quantità. Presa in
grande quantità in un dato
luogo, da un uomo, o da un piccolo gruppo di uomini, essa dà
risultati molto buoni; presa in piccole quantità
da ognuno degli individui che compongono una grande massa di uomini,
essa non dà alcun
risultato, o forse talvolta dei risultati negativi, contrari a
quelli che si attendevano».
(Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto)
3 Suddette
«funzioni»
sono sintetizzate da Marcuse in questo schema riguardante la
cosiddetta trasformazione
fondamentale della natura umana:
«da:
soddisfazione immediata, piacere, gioia (gioco), recettività,
assenza di repressione, a: soddisfazione differita,
limitazione del piacere, fatica (lavoro), produttività,
sicurezza». (Marcuse, Eros
e civiltà)
4 «Il
nostro punto di partenza è che l'uomo non conosce se stesso, che
egli non è (accentuò queste parole), ossia non è ciò che
potrebbe e dovrebbe essere. Per questa ragione non può prendere
alcun impegno, né assumersi alcun obbligo. Non può decidere nulla
riguardo al futuro». (Ouspenky,
Frammenti di un insegnamento sconosciuto)
5 «Il
Sé potrebbe essere
caratterizzato da una specie di compensazione per il conflitto fra
l'interno e l'esterno; formulazione non impropria, in quanto il Sé
ha il carattere di un risultato, di una meta conseguita, di qualcosa
prodottosi a poco a poco e divenuto sperimentabile con molte
fatiche. Pertanto il Sé è
anche la meta della vita, perché
è la più
perfetta espressione della combinazione fatale che si chiama
individuo, e non solo del singolo uomo, ma di un intero gruppo, nel
quale l'uno integra l'altro per costruire l'immagine completa».
(Jung, L'io e l'inconscio)
6 Si dice esistano pure le cosiddette «leggende metropolitane» (sic).
6 Si dice esistano pure le cosiddette «leggende metropolitane» (sic).
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