venerdì 5 luglio 2013

INTRODUZIONE AL LIBRO

Ars moriendi











Questa è davvero la Vita stessa!» si voltò improvvisamente a osservare la sua amata: Era morta! (Poe, Il ritratto ovale)

In questo libro su Edgar Poe Vi parlerò di letture e scritture, del lato oscuro della cultura, di come si possa perdere conoscenza anziché acquisirla.
Inoltre, vi suggerisco che una filosofia indiscriminata ancora può esistere; quando una mente-scrittore è al lavoro, apre il varco giusto tra sé ed il mondo. Quella scrittura fende la pagina e rivela la magia.
Poe è non di meno scrittore di quanto non sia “mago”, perfettamente a suo agio tra Oriente ed Occidente. Del resto Maghdim – parola dalla quale deriva il sostantivo in appello – vorrebbe pur significare “suprema saggezza” o “sacra filosofia”. Ed esiste in Poe questa dimensione! Le vette del pensiero, la sonante scorrevolezza delle sue impressioni, non rivestono il tono di una lirica moderna e antica assieme? Basti il seguente estratto a darne prova. Rassomiglia ad un Platone, ma più asciutto e più conciso.

Oinos: Allora ogni movimento, di qualsiasi natura è un atto creativo?
Aghatos: Deve esserlo; ma una vera filosofia ha da tempo insegnato che fonte di ogni moto è il pensiero – e che fonte di ogni pensiero è –
Oinos: Dio.
Aghatos: Ti ho parlato, Oinos, come a un fanciullo della vaga terra recentemente perita – degli impulsi sulla sua atmosfera.
Oinos: È così (Poe, Il potere delle parole)

Sicché vaga, contemporanea e terribile una civiltà transita, la vediamo estinguersi...
Non sarà del resto l'Ottocento, il secolo del nostro autore, a svaporare come “il ricco metallo della nostra volontà”. Niente affatto! Saremo tanto più vigili quanto più al passo coi tempi. Tempi di rapina, per i quali la scrittura dovrà elaborare la sua riflessione con il rischio corrente per la morte istantanea dei suoi contenuti espressi. Allo stesso modo, sempre veloce e concisa, ho pensato dovesse essere l'argomentazione (semmai le note a piè pagina possono servire per quei lettori decisi a sondare con maggiore attenzione il background dal quale nascono le riflessioni sulle problematiche affrontate).


DESTRUTTURARE SE STESSI

Le forme di comunicazione oggi prediligono infatti “lavagne scorrevoli” su apparecchi elettronici, post e twittate. Inoltre, nel panorama odierno il tomo pare ingombri più le teste che non gli scaffali – non se ne vuol sapere dei libri troppo, dico troppo ragionati. Sicché non illudiamoci sul fatto che la gente1 possa comprendere o fare, attraverso la lettura di un testo letterario (come ad es. i racconti del nostro autore), la così tanto conclamata contro-informazione, e in siffatto modo ricavare a posteriori dalle proprie fonti di sapere una visione che sia per l'appunto audace acquisizione di coscienza2. Per «conoscere» bisogna nei fatti mettersi a «cercare», e dunque «perdere (o perdersi)» ciò che costituisce la matrice di pensiero indotta dai vari condizionamenti, siano essi politici, religiosi, o familiari.
Da che in qualche maniera siamo (tras)formati dalle «funzioni di governo»3, allora contro-informare, oppure «destrutturare» noi stessi, vorrebbe pur dire saper spiare le ragioni del presente dai due poli, ai due estremi, cioè laddove si dà la possibilità di una fioritura della consapevolezza (Gioia), e dove invece quest'ultima viene inesorabilmente contraffatta. Come fare?
In realtà tutti lo dicono, ma nessuno ammette lealmente a se stesso l'insensatezza di essere oggi senza coscienza4E non mi riferisco certo all'ideale di una coscienza in riferimento a qualcosa di alieno, sovraindividuale, modello di chissà quale virtù; penso con Osho che «La vita possa cominciare quando ciascuno di noi incontra se stesso e impara a guardarsi direttamente, con immediatezza»
In altri termini, si diventa coscienti, quando si manifesta la concreta necessità di sapere quale sia la parte migliore di ciascuno in riferimento al proprio autentico mistero. Sapere dunque dove e perché stiamo andando; perché ci sentiamo prede inermi di un inesorabile destino. Perché frustrati, e perché angosciati – questo è importante ai fini della realizzazione del Sé5. Temi alla Poe... come vedremo. Temi che la "stampa quotidiana" non ha mai voluto istituire quale oggetto del suo plumbeo argomentare. Bisognerebbe chiedersi in definitiva, e con sempre maggiore insistenza, perché la riflessione sul Sentimento, l'Anima dell'uomo, non venga tenuta in considerazione dallo scrittore di professione, iscritto all'albo, che annuncia catastrofi, svela retroscena (fosse pur vero...). Perché?


LA FANTASIA DEL FARE ANIMA

Per dirla in due parole, i Racconti del Terrore (e solo quelli) che prenderò in esame, danno conto soprattutto di quell'altra parte, la sempre negletta e mai compresa.
Sicché, possiamo intuire fin da subito che Poe ci offre qualche cosa che si colloca al di fuori dell'ordinario, qualche cosa di magico e sublime. In quest'ottica oblunga, in queste distensioni prospettiche su di un Reale (o molti?) magnificato, non può essere il presunto effetto dei giochi para-psicologici a suscitare interesse nel lettore/scopritore contemporaneo.
La scrittura di Edgar Poe abbraccia invero una gamma di fenomeni assai più ampi; in modo pertinente ai luoghi in cui si colloca la sua visione, egli genera una prosopopea singolare in cui gli elementi, ectoplasmi anche quando si tratta di uomini, hanno definito il loro limite in un discorso sull'animo umano. Il linguaggio è dunque fantastico, ma l'esperienza, a mio avviso, sempre Reale. 
Egli è mago per questo! Dai suoi racconti si struttura, al pari del mito, la fantasia ontogenetica del «Fare Anima», senza però aver dimenticato, o trascurato, il teatro esteriore delle vicende, la schizofrenia urbana.
Ne uscirà – me lo auguro! – un ritratto che fa essere il nostro amatissimo essenziale al pari della leggenda6, dove «animare l'umano» significava l'inesorabile inizio dell'altra filosofia: accanto alla Meraviglia, l'Orrore. L'incominciare ad assistere al proprio destino. Di poi, certa, una storica rivelazione.
«Sveglia dunque!», sembra raccomandarci ciascuna poetica dell'horror. Noi vediamo le proiezioni di un mondo sognato; in quest'epifania ci stiamo inconsapevolmente guardando. «Sveglia! Suvvia...». Non avete notato che il piccolo mondo si dipana tra uomini, maschere, macchiette e persone? Tra alienati e alieni? Gente in completo delirio?
Esattamente come in William Wilson, dove il protagonista vede face to face il suo Male, che sta alla radice delle cose, e non ciò che semplicemente lo rappresenterebbe – Poe non scrive allegorie sul maligno, sta nel corpo e nelle menti effettive, dilaniate. Egli, in definitiva, lascia che si guardi a quella cosa che ciascun uomo mai avrebbe voluto in cuor suo vedere.

Erano quelli, erano proprio quelli i lineamenti di William Wilson? Vedevo sì ch'erano i suoi, eppure tremavo, come in un accesso di febbre, immaginandomi che non erano i suoi. Cosa c'era in essi da confondermi fino a tal punto? E lo contemplavo, e mi sentivo roteare il cervello sotto l'azione di mille pensieri incoerenti. Non era così, no, di certo, non era così ch'egli mi appariva nelle ore normali in cui era sveglio. Lo stesso nome! Entrati a scuola lo stesso giorno! E gli stessi lineamenti! E poi il dispettoso e inesplicabile rifacimento della mia andatura, della mia voce, delle mie abitudini, delle mie maniere! Rientrava nei limiti delle possibilità umane che quanto ora vedevo fosse semplicemente il risultato di quel continuo esercizio d'imitazione sarcastica? Affranto dal terrore, tremante, spensi la mia lampada, e uscii in silenzio dalla camera per lasciare una volta per sempre il recinto della vecchia scuola. (Poe, William Wilson)



L'INIZIO: IL TEMA DELLA MORTE

Ars moriendi... che vuol dire? Era l'inizio. Sarà la fine.
Anima bella.

Nasce così la nostra anima Stella, dai turbini, dai ricci di un mondo qualunque oscilla.
«Anima Stella non ti fermare!».
«Anima Bella non ti incolpare!».
Questa lingua promette certezze.
Vede solerte smentite.
E il suo discorso somiglia a un linguaggio dei fiori più belli.

Dalle mie mani appunto una breve ma incisiva fantasmagoria generale della conoscenza. Il presente dei rapporti tra “apertura” e “chiusura” dei saperi. Un presente fatto di tagli e strappi, luoghi misteriosi all'interno di strutture strane, difformi, variabili e poliedriche.
«Un presente!» Che dico? Piango o rido?
La stralunata visione di Edgar Poe, almeno in questa occasione, si dimostra il nostro lascia passare per l'avvenire, che di fatto.... de facto sembra scomparire.

Orrore e fatalità hanno attraversato il mondo in ogni tempo. Allora perché dare una data alla storia che devo raccontare? (Poe, Metzengerstein)





NOTE

1 Per gente intendiamo riferirci a quegli "uomini" la cui dimensione interiore è completamente asciugata in favore di relazioni tanto esteriori quanto contingenti, e quindi pedissequamente legati all'opinione altrui. Questa dipendenza genera la certezza di sentirsi «parte» di qualcosa, qualcosa che fa essere l'uomo non più individuo, bensì l'alienato uomo della folla. Scrive Poe: «Consideravo i passanti in quanto masse, correndo col pensiero solo ai loro rapporti collettivi. Ma a poco a poco venni ai particolari e con minuzioso interesse mi applicai ad esaminare la varietà dei tipi nei loro abiti, e negli aspetti, nell'andatura, nelle facce, nell'espressione delle fisionomie. Per la maggior parte erano persone dall'aria convinta propria agli uomini d'affari, e parevano preoccupati soltanto di aprirsi un varco nella ressa». (Poe, L'uomo della folla)

2 «Ma noi sappiamo, attraverso un'osservazione anche elementare della vita, che la materia della conoscenza possiede qualità interamente diverse a seconda che essa sia assorbita in piccole o in grandi quantità. Presa in grande quantità in un dato luogo, da un uomo, o da un piccolo gruppo di uomini, essa dà risultati molto buoni; presa in piccole quantità da ognuno degli individui che compongono una grande massa di uomini, essa non dà alcun risultato, o forse talvolta dei risultati negativi, contrari a quelli che si attendevano». (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto)

3 Suddette «funzioni» sono sintetizzate da Marcuse in questo schema riguardante la cosiddetta trasformazione fondamentale della natura umana: «da: soddisfazione immediata, piacere, gioia (gioco), recettività, assenza di repressione, a: soddisfazione differita, limitazione del piacere, fatica (lavoro), produttività, sicurezza». (Marcuse, Eros e civiltà)

4 «Il nostro punto di partenza è che l'uomo non conosce se stesso, che egli non è (accentuò queste parole), ossia non è ciò che potrebbe e dovrebbe essere. Per questa ragione non può prendere alcun impegno, né assumersi alcun obbligo. Non può decidere nulla riguardo al futuro». (Ouspenky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto)

5 «Il Sé potrebbe essere caratterizzato da una specie di compensazione per il conflitto fra l'interno e l'esterno; formulazione non impropria, in quanto il Sé ha il carattere di un risultato, di una meta conseguita, di qualcosa prodottosi a poco a poco e divenuto sperimentabile con molte fatiche. Pertanto il Sé è anche la meta della vita, perché è la più perfetta espressione della combinazione fatale che si chiama individuo, e non solo del singolo uomo, ma di un intero gruppo, nel quale l'uno integra l'altro per costruire l'immagine completa». (Jung, L'io e l'inconscio)

6 Si dice esistano pure le cosiddette «leggende metropolitane» (sic).

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